Secondo la prima sezione della Cassazione penale (sentenza n. 35328 del 21 aprile 2022) la pubblicazione sul proprio profilo Instagram di una foto di una vettura della polizia locale con una dicitura offensiva non costituisce vilipendio.
In particolare sul profilo Instagram era pubblicata una foto che ritraeva l’imputato accanto ad un’autovettura in uso alla Polizia locale, accompagnata dalla dicitura “fuck the police”.
La vicenda vede imputato un minorenne che, dopo aver partecipato, in qualità di comparsa, alla registrazione di un video musicale – in un contesto goliardico e senza alcun intento rivoluzionario o denigratorio – pubblicava sul proprio profilo Instagram il predetto post.
Per tali fatti, il ragazzo veniva rinviato a giudizio con l’imputazione di vilipendio delle Forze armate ex art. 290 c.p. e poi prosciolto dal Gup, a seguito di giudizio abbreviato, per intervenuta estinzione del reato a seguito di perdono giudiziale.
Quanto al concetto di vilipendio, va preliminarmente sottolineato il suo carattere indeterminato.
Si ricorda che secondo la Corte di Cassazione il vilipendio è configurabile allorché “l’agente adotti, con coscienza e volontà, espressioni di ingiuria o di disprezzo atte a ledere il prestigio e l’onore della collettività nazionale, a prescindere da quelli che possano essere i veri sentimenti da lui nutriti al riguardo” (cfr. Cass. 21 marzo 2013, n. 28730)
Nel caso che ci occupa, la decisione di proscioglimento pronunciata dal Gup veniva impugnata e successivamente confermata dalla Corte di Appello di Milano in merito al proscioglimento per la concessione, da parte del giudice, del perdono giudiziale.
Il ragazzo impugnava la sentenza avanti alla Corte di Cassazione, deducendo, in particolare, l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 27, d.P.R 22 settembre 1988, n. 448, laddove il giudice di merito non pronunciava sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.
In particolare, la difesa del giovane illustrava la sussistenza dei requisiti di legge ai fini della declaratoria de qua, evidenziando che il minore aveva ammesso l’addebito sin da subito, si era scusato e dispiaciuto, aveva effettuato un risarcimento simbolico in favore delle Forze dell’ordine e, inoltre, aveva sottolineato il contesto goliardico e inconsapevole, del tutto privo di scopi denigratori.
Quelli richiamati all’attenzione sono tutti indici che – alla difesa – suggerivano la tenuità del fatto, requisito necessario, accanto all’occasionalità del comportamento (pacifica, nel caso di specie), ai fini della sentenza di non luogo a procedere ex art. 27 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448.
Senza contare, inoltre, come nel caso specifico pacifico risultava il pregiudizio alle esigenze educative del minore (come richiesto dall’art. 27 del d.P.R. citato) frequentante un istituto di scuola medio-superiore e impegnato a svolgere l’attività di bagnino in estate.
La Corte di Cassazione riteneva il ricorso fondato e annullava la sentenza perché il fatto non sussiste.
La Corte di Cassazione evidenziava, con una succinta motivazione (che non richiedeva, in effetti, ulteriori sviluppi) che “la Polizia locale di un Comune non possiede la qualifica di Forza armata” (D.Lgs. n. 297/2000).
Pertanto, manca un elemento del fatto di reato di cui all’art. 290 c.p. in quanto, come ancora rileva la Corte di cassazione, “la Polizia locale non è nemmeno un reparto militare”.
Nel caso in oggetto, quindi, la Corte di Cassazione, annullando la sentenza perché il fatto non sussiste, va addirittura oltre rispetto a quanto evidenziato dalla difesa: la condotta del minore non solo presentava caratteri di tenuità, ma – prima ancora – non integrava un fatto di reato.