Come ci si protegge dalla diffamazione via Facebook?
Come ci si può proteggere dalla diffamazione via Facebook e, in particolare, il titolare di un profilo Facebook, sul quale risultino pubblicati post lesivi della reputazione di altro soggetto, risponde sempre del delitto di diffamazione?
Nello specifico i soggetti coinvolti erano titolari di due negozi di parrucchiere e la vicenda sarebbe scaturita dalla pubblicazione, sul profilo Facebook dell’imputato, di una serie di post che erano lesivi della reputazione del titolare dell’altro negozio.
A fronte di tali post – di tenore ignoto, ma sulla cui natura diffamatoria non vi è alcuna contestazione da parte della difesa – l’imputato veniva condannato dal Tribunale di Cremona per diffamazione aggravata da altro mezzo di pubblicità, ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p.
Si opponeva il condannato sostenendo che non fosse certa l’attribuzione del post a sé.
Sulla paternità dei messaggi diffamatori la Corte di Cassazione evidenziava che essendo pubblicati sul profilo del ricorrente, in assenza di una denuncia all’autorità giudiziaria di un eventuale utilizzo abusivo del profilo, rispondeva a “criteri logici e condivise massime di esperienza” ritenere che tali post fossero attribuibili all’imputato, titolare del profilo Facebook su cui risultavano pubblicati.
Ai fini dell’accertamento della riferibilità dei post, peraltro, la Suprema Corte ha più volte fatto riferimento ai seguenti elementi: il movente, l’argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, nonché la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell’imputato, con utilizzo del suo nickname.
La concordanza di questi elementi all’ipotesi accusatoria renderebbe superfluo l’accertamento tecnico sull’indirizzo IP dell’utenza telefonica intestata all’imputato medesimo (Cass. 21 ottobre 2021, n. 4239).
Completano il quadro probatorio eventuali testimoni che, dopo aver letto i post diffamatori, li avevano ritenuti riferibili alla persona offesa posto che il negozio di parrucchiere offeso “vicino” a quello dell’imputato era l’unico in zona.
Quindi, in ipotesi di pubblicazione di messaggi lesivi della reputazione attraverso post pubblicati sul proprio profilo Facebook, la diffamazione è attribuibile al titolare del profilo, in assenza di denuncia di furto di identità (Cass. Pen. sentenza del 30 settembre 2022, n. 37070)