COMPOSIZIONE NEGOZIATA: MISURE PROTETTIVE E BUONA FEDE.

L’imprenditore che accede alla composizione negoziata introdotta con il D.L. n. 118/2021 può chiedere l’applicazione di misure protettive del patrimonio o la concessione di provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative e, ai fini della decisione, la valutazione della buona fede dell’imprenditore ha il suo peso.

Il rispetto dei principi ispiratori del nuovo istituto quali la buona fede, la correttezza e la trasparenza nella conduzione del percorso compositivo unitamente al confronto schietto tra imprenditore, creditori ed Esperto favoriscono l’approfondimento e aumentano la credibilità dell’imprenditore.

Le misure protettive, peraltro, possono essere concesse anche quando il piano di risanamento non sia stato ancora compiutamente redatto non essendo necessario che lo stesso preceda la composizione negoziata potendo essere anche elaborato all’interno della stessa avvalendosi anche delle trattative con i creditori condotte con l’ausilio dell’Esperto.

Questo, in sintesi, è quanto stabilito dal Tribunale di Treviso con l’ordinanza del 4 ottobre 2022.

IL CASO PRATICO.

La società chiedeva al Tribunale di Treviso di concedere misure protettive nei confronti di un solo creditore verso il quale aveva un’esposizione particolarmente consistente, di controversa classificazione, portata da un titolo esecutivo definitivo.

La Società faceva presente che era stata instaurata e condotta la procedura di concordato preventivo già omologata con decreto, che il piano di continuità diretta era stato attuato salvo essere stato revocato con decreto nell’anno 2020, provvedimento poi confermato con sentenza della Cassazione.

In esecuzione di detto piano concordatario l’attività imprenditoriale aveva soddisfatto al 100% i crediti in prededuzione e privilegiati nonché parzialmente i crediti chirografari.

Sennonchè, la sentenza resa dalla Cassazione, confermando il decreto di revoca dell’omologa del concordato, aveva fatto riemergere il debito chirografario falcidiato nel piano di concordato omologato con un impatto rilevante sul patrimonio divenuto così negativo.

Avviata la procedura di composizione da parte dell’imprenditore, l’Esperto relazionava sulla della costante ricezione di informative sullo stato di conduzione delle trattative tra il management della impresa debitrice ed il ceto creditorio (bancario, finanziario e fornitori) e degli incontri periodici avuti con lo stesso.

Secondo l’Esperto, la società disponeva di una buona “capacità autorigeneratrice e di autofinanziamento”, tale da assicurare la continuità aziendale, dando anche articolata rappresentazione del buon posizionamento sul mercato dell’azienda, del valore degli asset, del successo di alcune linee di prodotti.

Il Tribunale di Treviso riconosceva quindi la sussistenza del fumus boni iuris (“declinato come ragionevole probabilità di perseguire il risanamento”) per la concessione delle misure protettive richieste dal debitore avendone avuto inequivocabile, dettagliata e documentata rappresentazione anche grazie alla puntuale relazione dell’Esperto ( “frutto di verifiche a più livelli”) e niente affatto meramente recettiva delle informazioni e dei dati resi disponibili dagli advisor del debitore.

Quanto alla mancata predisposizione del piano di risanamento già nella fase iniziale della composizione, il Giudice osservava che il piano può essere predisposto in itinere al fine di “individuare le proposte da formulare alle parti interessate e la soluzione idonea al superamento della crisi” e proprio l’avvio e la conduzione con esito positivo delle trattative con l’ausilio dell’Esperto possono essere strumentali alla più efficace messa a punto del piano di risanamento.

Secondo il Giudice “sia per la condotta dei soggetti coinvolti (improntata, secondo l’attendibile resoconto dell’Esperto, a trasparenza, collaborazione e buona fede), sia per la situazione obiettiva dell’impresa, con un solido apparato industriale e avviamento commerciale”, contrariamente a quanto contestato dal creditore, l’accesso alla composizione negoziata non era “strumentalmente utilizzata per procrastinare la crisi con pregiudizio dei creditori”.

Il Giudice ravvisava, altresì, la ricorrenza del periculum in mora nell’eventuale azione esecutiva che il creditore dichiaratosi scettico rispetto al risanamento della debitrice avrebbe potuto promuovere (disponendo il creditore di un titolo esecutivo divenuto definitivo) sì da pregiudicare gravemente l’esito delle trattative e il risanamento ragionevolmente perseguibile in fase di articolazione quanto al suo piano attuativo.

Veniva, quindi, riconosciuta la concessione delle misure protettive richieste.

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Avv. Simona Russo

Avvocato Simona Russo con studio in Bergamo si occupa di diritto di famiglia, della persona e dell'impresa.

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