L’animo truffaldino di chi induce un soggetto con ridotte capacità a redigere testamento olografo può essere accertata anche senza una perizia potendosi desumere da elementi di fatto e condotte.
Questo è quello che stabilisce la Cassazione penale, Sez. II, sentenza 9 dicembre 2022, n. 46552.
Il delitto si configura se l’atto dispositivo si concretizza in un testamento olografo mentre la consumazione si verifica nel momento della pubblicazione del testamento non essendo necessario, al fine della sussistenza del delitto, il conseguimento del profitto (che verosimilmente si determinerà in via posticipata all’accettazione dell’eredità).
La persona offesa è esclusivamente il circonvenuto , in relazione al danno subito dal proprio patrimonio e alla libera disposizione dello stesso.
Come accennato, per la rilevabilità del vizio di mente del de cuius non è necessaria la perizia (essendo ovviamente impossibile esperirne una … atteso il decesso della persona offesa!) ma è sufficiente che il giudice rilevi elementi indicativi della commissione del reato quali elementi di fatto univoci che emergano dagli atti del processo (nel caso di specie, età avanzata, pregresse patologie, comportamenti inusuali e prodigalità immotivata e reiterata in favore dell’autore) essendo, insomma, sufficiente anche una minorata capacità psichica tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione e pressione.
A tal fine sono rilevanti anche i comportamenti dell’imputato precedenti all’insorgere dello stato di incapacità caratterizzati da attività di induzione e, conseguentemente, risulta evidente qui la volontà della Suprema Corte di punire quelle condotte dell’agente il quale, accortosi di una vulnerabilità (pur non ancora degenerata in infermità o deficienza psichica) del soggetto passivo, si avvicini a esso con il chiaro intento di abusarne.